Carbon farming: cos’è e perchè è importante per la politica climatica dell’UE
Con il termine Carbon farming, letteralmente “coltivazione di carbonio”, si fa riferimento a quelle pratiche agricole in grado di incrementare la capacità del suolo di sequestrare la CO2 con l’obiettivo di contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici.
Proprio per tale ragione si tratta di un “concetto” che in Europa sta riscuotendo sempre più successo tanto da essere considerato uno strumento fondamentale del Green Deal. Secondo la Commissione europea queste tecniche possono infatti rendere il comparto agricolo un settore chiave per il raggiungimento della strategia Fit for 55 che ha come obiettivo quello di ridurre le emissioni di gas serra nei territori appartenenti all’UE di almeno il 55% entro il 2030, rispetto a quelle registrate nel 1990, e di rendere l’Europa carbon neutral entro il 2050.
Quali sono le pratiche agricole che combattono il climate change?
Come si legge nel documento del Parlamento Europeo “Carbon Farming- Making agricolture fit for 2030”, la coltivazione di carbonio comprende principalmente tre tipi di azioni: innanzitutto la rimozione della CO2, ossia il sequestro e lo stoccaggio del carbonio nei suoli nella vegetazione nei raccolti, poi il contenimento delle emissioni con la prevenzione delle perdite di carbonio già immagazzinato nel suolo e nella vegetazione e infine la riduzione delle emissioni generate dalle attività agricole.
Il terreno come magazzino della CO2
Si calcola che, come riportato nell’articolo “Carbon Farming: opportunità concreta per l’allevamento” pubblicato sul portale Carni Sostenibili, attraverso l’adozione di buone pratiche agricole il suolo può sequestrare a livello mondiale 0,4-1,2 miliardi di tonnellate l’anno di CO2. A favorire il deposito di carbonio ad esempio la presenza di colture di copertura, l’impiego di fertilizzanti organici e l’utilizzo dell’irrigazione. Naturalmente si deve tener conto, nel valutare l’efficacia delle diverse pratiche agricole, dal fatto che i Paesi che compongono l’UE sono molto diversi in termini di struttura del suolo, di coperture forestali e di tipi di agricoltura. Per cui alcune tecniche hanno maggior successo di altre proprio a seconda delle regioni in cui vengono poste in essere. Ad esempio la conservazione delle torbiere mostra un potenziale maggiore nell’europa settentrionale rispetto a quella meridionale, al contrario l’agro forestazione mostra il maggior potenziale di mitigazione nell’europa meridionale e orientale e la gestione dei nutrienti è invece distribuito equamente in tutto il continente.
Inoltre come evidenziato sempre nell’articolo citato, poiché gli allevamenti zootecnici sono una parte dell’agricoltura, anche questo ambito può dare un suo importante contributo. In particolare, il bestiame al pascolo può aiutare ad aumentare la quantità di carbonio immagazzinata nei terreni erbosi incoraggiando la pianta a produrre più radici e ad assorbire più CO2. Nel caso, ad esempio, delle filiere della carne delle aree del Mediterraneo, la presenza di ampie superfici a pascolo e silvane comporta assorbimenti importanti di carbonio, seppure, anche in questo caso, con una variabilità elevata in base alla zona.
Ma qual è il reale apporto che la coltivazione del carbonio ha in termini di assorbimento dei gas serra?
Il contributo del carbon farming alla mitigazione delle emissioni climalteranti
Lo studio del Parlamento Europeo afferma che il potenziale di mitigazione del carbon farming nel territorio dell’Unione può variare tra 101 e i 444 Mt CO2 equivalente all’anno, in altre parole circa il 3-12% delle emissioni totali di gas serra annue dell’UE.
Questo significa che anche tenendo in considerazione la stima più bassa, l’agricoltura del carbonio potrebbe compensare il 26% delle emissioni agricole annuali dell’Unione Europea.
Secondo la Commissione Europea, il carbon farming contribuirà a stoccare 42 milioni di tonnellate di CO2 all’anno entro il 2030 diventando quindi centrale nella strategia climatica del vecchio continente. Va comunque precisato, come anche sottolineato nello studio del Parlamento europeo che queste pratiche agricole possono certamente contribuire nel contrasto alla crisi climatica ma ridurre e evitare le emissioni climalteranti deve restare l’obiettivo principale di tutti gli operatori economici compresi i consumatori e l’industria.
Foto: Ludovica Nati